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La revoca della patente di guida, prevista dall’art. 224 C.d.s., è sanzione amministrativa accessoria che fa seguito alla sentenza o al decreto penale di condanna per determinati reati, tra cui anche quello di guida in stato di ebbrezza, previsto all’art. 186 del medesimo codice.

In quanto tale, la revoca costituisce un adempimento per cui la legge non prevede alcun termine, pertanto può essere irrogata nel generale termine di prescrizione quinquennale, previsto dall’art. 28 della L n. 689/1981.

Lo ha ribadito la Seconda sezione civile della Corte di Cassazione (ordinanza n. 8464/2024 – testo in calce), rigettando il ricorso proposto da un uomo, che lamentava l’illegittimità del provvedimento di revoca della patente disposto nei suoi confronti, in violazione dei termini previsti dall’art. 2 della legge sul procedimento amministrativo.

Giornale di Diritto Amministrativo, Direzione scientifica: Cassese Sabino, Ed. IPSOA, Periodico. Tratta tutta la complessa materia con autorevoli commenti a norme, giurisprudenza e documenti che offrono una panoramica completa delle novità nell’ambito del diritto pubblico sia a livello nazionale che comunitario.
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Il caso

L’uomo era stato condannato per guida in stato di ebbrezza con decreto penale di condanna divenuto definitivo, e nei suoi confronti era stata disposta anche la revoca della patente a titolo di sanzione accessoria, ai sensi dell’art. 224 del C.d.s., provvedimento confermato sia in sede di opposizione, sia dal Tribunale in grado di appello.

Quest’ultimo, in particolare, rilevava che il provvedimento di revoca, adottato il 25.1.2018, era stato preceduto da un identico provvedimento del luglio 2013, emesso a seguito del decreto penale di condanna e poi sospeso, stante l’impugnazione del decreto, quindi nuovamente adottato a seguito della sua acquisita definitività.

Secondo i giudici il provvedimento non poteva quindi considerarsi tardivo, come obiettato dall’appellante, sia perché questi ne era a conoscenza fin dal 2013, sia perché comunque era stato adottato entro il termine di prescrizione quinquennale.

L’uomo ricorreva per la cassazione della sentenza, sulla base di due motivi.

I motivi di ricorso

Con il primo motivo di ricorso censurava la sentenza impugnata per aver escluso che il provvedimento impugnato fosse illegittimo in quanto adottato tardivamente.

Tardività secondo i giudici insussistente, poiché il provvedimento era una mera conferma della precedente revoca disposta nel 2013, e tralasciando che anche questo provvedimento era stato comunque disposto in ritardo, ben oltre i 15 giorni previsti dall’art. 224, secondo comma C.d.s..

Con il secondo motivo lamentava invece che il Tribunale avrebbe comunque dovuto rilevare la tardività del provvedimento opposto: sia perché era stato ampiamente superato il termine di 90 giorni previsto per la definizione dei procedimenti amministrativi dall’art. 2 della L. 241/90, sia perché comunque era stato adottato dopo più di tre anni dal momento in cui il decreto penale di condanna era divenuto definitivo, a seguito della decisione di rigetto dell’impugnazione da parte della Cassazione.

La posizione della Corte

Secondo la Corte entrambi i motivi sono infondati.

La prima censura attiene infatti al provvedimento di revoca adottato dal Prefetto nel 2013, che è atto diverso da quello impugnato ed i cui vizi di legittimità avrebbero dovuto essere sollevati all’epoca, entro il termine previsto, con specifico atto di opposizione.

Quanto al secondo motivo di ricorso, la Corte sottolinea che la revoca della patente di guida, prevista dall’art. 224 codice della strada, è sanzione amministrativa accessoria che fa seguito alla sentenza o al decreto penale di condanna per determinati reati, tra cui anche quello commesso dal ricorrente.

In quanto tale, la revoca costituisce un adempimento per cui la legge non prevede alcun termine, pertanto può essere irrogata nel generale termine di prescrizione quinquennale, previsto dall’art. 28 della L n. 689/1981 (così Cass. n. 15694 del 2020; Cass. n. 10373 del 2006; Cass. n. 7026 del 2019).

Conclusioni

Nel caso di specie, concludono i giudici, il termine in questione era stato osservato: l’infrazione era stata infatti commessa il 19.3.2013, mentre il provvedimento di revoca della patente, poi opposto, risaliva al 25.1.2018.

La specifica censura di violazione di legge sollevata dal ricorrente era quindi infondata, posto che, per consolidato orientamento di legittimità, l’art. 2 della legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo non si applica in materia di sanzioni amministrative.

Queste ultime restano invece regolate dalla legge n. 689/1981, che costituisce un sistema di norme organico e compiuto e delinea un procedimento contenzioso, scandito in fasi, con tempi tali da non consentire, anche nell’interesse dell’incolpato, il rispetto di un termine così breve come quello del procedimento amministrativo (si vedano, tra le tante, Cass. n. 31239 del 2021; Cass. S.U. n. 9591 del 2006).

Sulla scia di tali considerazioni la Corte ha quindi respinto il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento dell’ulteriore importo dovuto a titolo di contributo unificato.

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