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I famigerati Airbnb stanno distruggendo i centri storici. Facile a dirsi. È un luogo comune come tanti perché ad analizzare sul serio il fenomeno, si arriverebbe a scoprire che la responsabilità non è per forza, unicamente, completamente, loro. L’abitudine o meglio il business di affittare una stanza della propria casa nacque oltre 15 anni fa quando due ragazzi di San Francisco che avevano difficoltà a pagare regolarmente la pigione di casa, decisero di guadagnare un po’ di soldi extra arrivando in questo modo a sopperire alla mancanza di ricettività della loro città. Da questa iniziativa, l’idea di una società, Airbnb, e il successo planetario che tutti sappiamo. In Italia e soprattutto in città come Roma, Milano e Firenze, gli affitti cosiddetti brevi si sono triplicati un po’ perché sono mete molto ambite dal turismo internazionale, ma anche perché in un Paese in cui sfrattare un inquilino moroso ha un costo non indifferente fatto di carte bollate e di tempi lunghissimi, chi ha una casa di proprietà – secondo gli ultimi dati sia dell’Istat che di Confedilizia, oltre il 70% delle famiglie ne possiede una – cerca come prevedibile di valorizzare il suo patrimonio.

In realtà, diventare “host” ossia proprietario di una casa destinata ad affitti brevi attraverso quelle che si chiamano Ota – ossia portali di intermediazione (oltre Airbnb, Booking, Spotahome, Vrbo) – è diventato ormai un modo di essere imprenditori di se stessi. Ma non è facile, anzi. O meglio non è facile se si rispettano tutte le regole. Il problema è proprio questo, le regole: perché i centri storici non sono un far west come lamentano in molti, ma lo diventano se non c’è un numero sufficiente di guardiani che controllino se queste vengono applicate. Prendiamo ad esempio una città come Roma.

Per aprire un Airbnb (che è soltanto un modo facilitato per dire affitti brevi, in quanto Airbnb non è l’unica modalità per mettere un immobile in locazione), bisogna registrarsi al Comune, scegliere innanzitutto che tipo di attività avviare: casa vacanze, locazione turistica, bed and breakfast, etc. Ognuna di queste ha caratteristiche diverse, e con specificità, limitazioni e condizioni precise. Ci si avventura insomma in un percorso burocratico che, soprattutto per i neofiti, è come muoversi in un labirinto di norme, di dati, e di regole. Ad esempio, per ospitare due persone, una stanza deve essere almeno di 14 metri quadri, mentre per ospitarne tre persone servono 20 metri quadri; un divano letto non può essere aperto in una stanza adibita a sala da pranzo, men che meno se ha la cucina. E cosi’ via.

Una volta registrati sul Comune di Roma (e pagata la relativa reversale), bisogna ottenere dalla Regione il codice identificativo regionale: un semplice numero che è però importante perché rappresenta la carta d’identità di un immobile, tant’è vero che la legge suggerisce di inserirlo anche in ogni annuncio perché chiunque dovrebbe poter verificarne l’agibilità (oltre che l’esistenza!). Ma presto dovrebbe esser sostituito, così come prevede l’accordo tra regioni e ministero del Turismo per una Banca Dati Nazionale. Dario Pileri, presidente di Pro.Loca.Tur (l’associazione per la tutela dei diritti dei proprietari che fanno locazione breve) fa della (facile) ironia: “Noi proprietari di affitti brevi siamo abituati ai mille adempimenti amministrativi in continuo mutamento, come un moto perpetuo della burocrazia che in questi tempi sembra aver posato i suoi occhi, non proprio benevoli, su chi trovandosi una casa a disposizione e viste le tante tasse che, vuota o piena, si devono pagare, ha deciso di buttarsi in questo nuovo redditizio mercato”.

Sia come sia, per ora, ottenuto il codice regionale, la trafila non finisce qui. Bisogna registrarsi al sito della Questura, perché è obbligatorio comunicare i dati di ogni ospite con documenti alla mano, e farlo entro 24 ore dal suo ingresso nella struttura, tramite codici di accesso al sito di alloggiati.web che fa capo appunto al Viminale. Ma bisogna anche richiedere username e password per collegarsi al sito dell’Osservatorio radar della Regione che a fini statistici raccoglie dati sugli ospiti (in particolare la provenienza e il numero di notti pernottate) e l’host a quel punto deve poter essere in grado di comunicarli non appena accolti in struttura. L’iter insomma non è difficile, ma abbastanza impervio, e infatti sono nate come funghi società che – con una percentuale che arriva finanche al 30% – offrono consulenze e servizio di gestione della struttura. E vorremmo poter dire, è finita qui.

No, perché nasce a quel punto la necessità di capire come riscuotere la tassa di soggiorno dall’ospite: i vari portali offrono la possibilità che la riscuotano loro, e così a quel punto uno potrebbe starsene tranquillo. Va ricordato infatti che del mancato versamento della tassa ne risponde l’host stesso, e le multe per chi non lo fa sono salatissime. Posta la fiducia nei portali perché pensino loro al pagamento del contributo di soggiorno, spunta invece – ogni tre mesi – l’obbligo di fare al Comune la comunicazione delle presenze e delle relative tasse pagate tramite un servizio ad hoc del sito capitolino che si chiama Gecos. E veniamo al discorso delle tasse: prendiamo un affitto breve di 100 euro a notte. Su questa cifra, va detratto il 21% di cedolare secca (se non il 26% per chi ha più di una struttura), restano all’incirca 80 euro. A questa cifra, vanno tolti i costi di gestione (le bollette, il condominio, la tassa rifiuti) per non parlare dei servizi di pulizia, di biancheria e della manutenzione minima. E ovviamente delle spese di commissione all’OTA, ossia a Booking o a Airbnb (che varia dal 4% fino a oltre il 20%). A quel punto, alla somma che resta, il 20-30% andrebbe eventualmente – se non si gestisce la struttura da soli – ad un property manager, cioè a chi si occupa della pubblicità, delle prenotazioni sui portali, della gestione insomma della clientela, alla fine non diventa un affare da mille e una notte.

Sempre che, ovvio, si osservino le regole. A Roma, gli appartamenti solo dati in locazione tramite Airbnb sono oltre 12.000. In quanti le rispetteranno?

 

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