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Se l’argomento è il Superbonus e a parlare è il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, c’è una certezza assoluta: annuncerà una nuova stretta sull’incentivo del 110 per cento alle ristrutturazioni edilizie. Ieri nel suo intervento in Senato non ha fatto eccezione. E non ha rinunciato nemmeno alla metafora con cui ogni volta accompagna la presentazione della misura: «È come il Vajont». Il governo domani presenterà un emendamento per spalmare da quattro a dieci anni i tempi di incasso del bonus, per chi ce l’ha in portafoglio. Vale a dire soprattutto le banche e le Poste. Questo “spalma-crediti” ci ha tenuto a sottolineare Giorgetti, sarà «obbligatorio». Un’affermazione che ha immediatamente aperto un fronte con l’Abi, l’associazione bancaria, e l’Ance, che rappresenta invece le imprese edili. Se la misura del governo fosse retroattiva, hanno detto, questo «minerebbe la fiducia di famiglie, imprese e investitori». La questione è estremamente delicata. Nei “cassetti fiscali” ci sono 160 miliardi di crediti legati al 110 per cento, solo 31 dei quali sono già stati utilizzati per ridurre le tasse da versare allo Stato. Circa la metà di questi, aveva calcolato l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, sono nei “portafogli” delle banche. Un altro 20 per cento fanno capo alle imprese di costruzione che li hanno acquisiti scontando le fatture per i lavori dei loro clienti. Che succede se invece di detrarli dalle tasse in quattro anni fossero costretti a farlo in dieci?

Superbonus, obbligo di spalmare i crediti in 10 anni: chi deve farlo, i vantaggi e le modalità. Cosa sapere

LE CONSEGUENZE

La conseguenza sarebbe una svalutazione di questi crediti nei loro bilanci del 10-15 per cento. Per le banche significherebbe una riduzione degli utili tra gli 8 e i 12 miliardi. Una tassa in grado di mangiare buona parte dei profitti nei prossimi anni. Per le imprese, secondo l’Ance, le conseguenze sarebbero addirittura «devastanti». La domanda è se davvero il governo si spingerà a tanto. Fonti del ministero dell’Economia fanno sapere che i tecnici stanno ancora lavorando, ma per adesso sembrerebbe che la norma possa essere limitata ai soli crediti sorti nel 2024. Così fosse, insomma, la spalmatura in dieci anni non sarebbe retroattiva come temono Abi e Ance. Ma se si applicasse solo ai crediti futuri l’impatto sui conti pubblici sarebbe molto limitato. Mentre se si allargasse ai crediti che sono nei cassetti fiscali, gli effetti sul debito si farebbero sentire. Ancora una volta, a fornire le stime, era stata qualche giorno fa l’Upb. Con lo spalma crediti decennale alla fine di quest’anno, il debito pubblico italiano scenderebbe dal 137,8 per cento previsto dall’ultimo Def, fino al 137,3 per cento. In pratica si riuscirebbe a tenere fermo il passivo, congelandolo sullo stesso livello del 2023. Si tratterebbe di una riduzione di mezzo punto percentuale di Pil, che vale una decina di miliardi. Il prossimo anno, poi, l’effetto sarebbe anche maggiore. Il debito scenderebbe dal 138,9 per cento previsto dal Def, fino al 137,9 per cento, un punto esatto di Pil, poco meno di venti miliardi. Nel 2027, poi, l’effetto sarebbe ancora maggiore, e salirebbe a 1,9 punti di Pil, poco più di 34 miliardi di euro, facendo scendere il passivo dal 139,6 per cento previsto dal Def fino al 137,7 per cento.

Insomma, spalmando il Superbonus su 10 anni per tutti i crediti nei cassetti fiscali si riuscirebbe a stabilizzare per tutta la legislatura il debito pubblico. Al costo però, come detto, di scaricare questo onere sui conti delle banche e delle imprese. Materia da trattare con cura. Si tratterebbe nella sostanza, dell’allungamento della scadenza di un debito dello Stato italiano. Quello che ventilano l’Abi e l’Ance è che, una volta rotto questo argine, i mercati possano iniziare a temere che lo stesso possa accadere in caso di estrema necessità anche per i Btp.

IL TIMORE

Un dubbio, c’è da scommettere, che il governo nemmeno vuole che sfiori la mente degli investitori. Del resto è stato lo stesso Giorgetti durante il Question time di ieri alla Camera a spiegare che la decisione di aver trasformato la tassa sulle banche in uno strumento per rafforzare il loro patrimonio (ed in effetti nessun istituto ha versato un euro nelle casse dello Stato), ha contribuito a rafforzare il sistema e ad abbassare lo spread sui titoli di Stato italiani. Difficile insomma, che il governo possa decidere una misura in direzione opposta. Chi colpirà dunque lo spalma-debiti? Sostanzialmente chi ha ancora lavori in corso. Ristrutturazioni iniziate con il bonus del 110 per cento e poi proseguite, dal primo gennaio di quest’anno, con lo sconto del 70 per cento. Non sarà comunque una misura indolore. I contratti in essere dovranno essere riscritti e il valore dei crediti ceduti diventerà più basso. Il rischio contenziosi è alto. Ma più che ridurre la traiettoria del debito, la mossa sembra essere più utile a tenere sotto controllo la spesa e il fabbisogno di cassa dello Stato. Evitare cioè, nuove che nuove brutte sorprese possano scaricarsi tutte sui conti di quest’anno, che già sono sotto pressione e con davanti la necessità di dover finanziare una manovra che ha bisogno già prima di partire di ben 18 miliardi per rifinanziare il taglio del cuneo contributivo che vale 100 euro in busta paga per i lavoratori dipendenti, il bonus per le mamme con due figli e il taglio del canone Rai. Obiettivi che ieri Giorgetti è tornato a definire «prioritari». Dal Superbonus il Tesoro non vuole più sorprese.

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