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Le disuguaglianze di genere nel mercato del lavoro rappresentano una delle sfide più urgenti e persistenti dell’era contemporanea. Globalmente, le donne affrontano ostacoli strutturali che limitano il loro accesso a opportunità occupazionali e condizionano il loro potenziale di guadagno. Secondo i dati dell’Oxfam, nel 2022 le donne impiegate in lavori regolarmente retribuiti erano 700 milioni in meno rispetto agli uomini mentre il 75% delle donne nelle regioni a reddito medio-basso sono occupate in settori informali e precari, spesso non hanno qualifiche certificate e vengono marginalizzate.

Mentre la lotta per l’uguaglianza di genere continua su molteplici fronti, emergono nuove sfide nel contesto della transizione verso un’economia verde. Lo studio condotto dall’International Labour Organization evidenzia come, nonostante le promesse di nuove opportunità di lavoro offerte dalla transizione ecologica, le disparità di genere persistano anche in quelli che oggi vengono definiti “i green jobs”, producendo quindi il rischio concreto di un’ulteriore marginalizzazione delle donne.

Questa tendenza è particolarmente preoccupante se si considera il ruolo chiave che i green jobs potranno e dovranno giocare nel futuro dell’occupazione mondiale. Infatti, poiché le previsioni indicano una maggiore concentrazione di donne nelle posizioni meno retribuite e più vulnerabili all’interno del settore, è chiaro che le disuguaglianze di genere minacciano di amplificarsi ulteriormente, mettendo a rischio il raggiungimento di parità di opportunità e di reddito. Come riportato nello studio pubblicato nel 2023 dall’International Lobour Organization (ILO), si prevede che tra i 100 milioni di nuovi lavoratori occupati nei lavori verdi solo 3 ogni 10, quindi 30 milioni, saranno donne. Questa previsione, che consolida lo stato materiale delle disuguaglianze di oggi, dovrà necessariamente essere disattesa per poter mitigare e appianare almeno in parte queste disparità strutturali. Alcuni progetti di sviluppo locale cercano di superare, almeno in parte, questi problemi attivando processi locali di empowerment delle comunità femminili.

Sviluppo locale e ricadute globali

È in questo contesto globale e cercando soluzioni di sviluppo locale che nel 2017 è iniziato il progetto dell’Asian Development Bank (ADB) denominato “Potenziamento della resilienza delle donne ai cambiamenti climatici e ai rischi da disastri in Asia e nel Pacifico”. Il lavoro è stato concepito per affrontare una delle questioni più urgenti e pressanti del nostro tempo: l’equità di genere nella gestione dei cambiamenti climatici e dei rischi prodotti da disastri. Con un finanziamento di 1,4 milioni di dollari provenienti dal Fondo Speciale per l’Assistenza Tecnica, il progetto si è concentrato su tre paesi membri: Figi, la Repubblica Democratica Popolare del Laos e la Mongolia, con l’obiettivo di potenziare diverse comunità in queste regioni. 

Le donne, soprattutto quelle appartenenti a comunità già vulnerabili e svantaggiate, sono spesso le più colpite dagli impatti dei cambiamenti climatici e dei disastri naturali. Tuttavia, la loro partecipazione attiva nei processi decisionali e la loro capacità di adattamento sono spesso limitate a causa di disuguaglianze di genere, come la mancanza di accesso alle risorse, le responsabilità familiari e sociali e la discriminazione nel mercato del lavoro.

Il progetto aveva l’obiettivo di contribuire a migliorare tale condizione strutturale, lavorando su tre elementi fondamentali: dimostrare il potenziale dei green jobs per le donne, sviluppare e promuovere politiche e azioni nazionali e settoriali sensibili al genere sui cambiamenti climatici e sulla gestione del rischio da disastri, integrare i diritti delle donne nelle leggi ambientali locali. Elemento centrale su cui si è lavorato è l’accesso al lavoro e quindi ad un salario adeguato e decoroso.

Molti report pubblicati negli ultimi anni mettono a fuoco chiaramente come la questione del reddito sia elemento centrale rispetto al tema delle disuguaglianze sociali portando all’amplificarsi di dinamiche violente e di sfruttamento. Infatti, da una prospettiva globale, le donne svolgono lavori meno retribuiti, circa il 24% in meno rispetto agli uomini e, al ritmo attuale di cambiamento, ci vorranno 170 anni per ridurre il divario di genere in termini di reddito. Poiché il 75% delle donne di paesi a reddito medio basso lavora in modo informale, è meno probabile che abbiano contratti di lavoro e diritti per cui spesso non vengono pagate abbastanza per permettere loro di uscire da un regime di povertà e dipendenza economica. Ne consegue quindi che oltre 600 milioni di lavoratrici si trovano in contesti lavorativi insicuri e precari.

A ciò si aggiunge il fatto che il lavoro di cura viene svolto prevalentemente dalle donne; tale impegno ha un valore pari a 10/14 trilioni di euro, più del triplo delle dimensioni del settore tecnologico globale. Le donne, quindi, lavorano, se si considera il lavoro retribuito e non retribuito insieme, più ore al giorno rispetto agli uomini ma avendo un minor profitto economico. Viene quindi messo in evidenza come il divario di retribuzione economica, sommati ai carichi di responsabilità e cura che gravano in modo asimmetrico sulle donne, siano elementi importantissimi nello studio delle ineguaglianze in relazione al genere.  

Il progetto in questione si inserisce in un quadro più ampio di iniziative globali volte a promuovere l’equità di genere nei settori legati all’ambiente e al cambiamento climatico, compresi l’Accordo di Parigi, il Programma di Lima sul genere, i Goal di Sviluppo Sostenibile e l’Agenda Sendai per la riduzione del rischio di disastri.

Leggi anche: Crisi energetica, ecco perché i costi dell’energia pesano di più sulle donne

Impatto e risultati del progetto

Dal bilancio fornito dal report emerge come il progetto, durante il suo sviluppo, abbia ottenuto dei buoni risultati. Si è verificato un generale incremento della domanda, da parte dei paesi membri, per investimenti in programmi sensibili al genere sia riguardo ai cambiamenti climatici che alla gestione del rischio da disastri. Contestualmente si è verificato l’aumento della capacità, da parte paesi promotori, di sviluppare e attuare politiche e programmi attraverso una lente di genere per la gestione dei rischi climatici e dei disastri.

Nella valutazione finale vengono evidenziati successi e criticità emersi nei 5 anni di lavoro. Il progetto è stato valutato come “altamente rilevante”, in linea con gli obiettivi strategici dell’ADB riguardanti la lotta ai cambiamenti climatici e l’uguaglianza di genere. Inoltre il report conclusivo sostiene che la “collaborazione tra il progetto e le autorità nazionali nei paesi partecipanti ha garantito un’immediata applicabilità delle raccomandazioni e dei prodotti di conoscenza generati”. L’implementazione del progetto è stata valutata efficiente nonostante il contesto pandemico in cui si è svolta una parte del lavoro. 

L’aspetto più importante portato avanti dall’iniziativa è legato alle attività di formazione, che hanno avuto un impatto significativo sulle partecipanti, permettendo loro di acquisire nuove competenze da applicare poi nei loro contesti locali. Le dimostrazioni pratiche, come la costruzione di case resistenti ai disastri, hanno evidenziato il valore aggiunto della formazione e il contributo tangibile delle donne alla resilienza delle comunità.

Ovviamente nel contempo esistono delle criticità legate alle scadenze governative, all’assenza di flessibilità, alla necessità di attivare delle modifiche nell’implementazione del progetto e l’inefficienza di alcune società di consulenza. Il report conclude infine asserendo che un elemento critico rimane quello della sostenibilità a lungo termine del progetto.

Leggi anche: Gli effetti della transizione energetica sulle donne

La storia di una comunità di donne figiane

Nel cuore delle comunità figiane, il progetto ha trasformato le vite di alcune donne, rendendole non solo agenti di cambiamento ma anche pioniere della resistenza ai disastri ambientali. In particolare, questo programma è stato sviluppato grazie ad una partnership tra il progetto di assistenza tecnica dell’Asian Development Bank (ADB) e Habitat for Humanity Fiji. Alcune donne hanno avuto l’opportunità di seguire una formazione nel settore della carpenteria, tradizionalmente dominato dagli uomini.

Il progetto ha fornito loro competenze da carpentiere, mettendole in condizione di contribuire attivamente alla preparazione degli alloggi per la collettività. Alle donne viene così riconosciuto un ruolo chiave nella costruzione di comunità diventando una barriera ai cambiamenti climatici e ai rischi prodotti dai disastri. Il programma ha permesso alle partecipanti di seguire un corso teorico e pratico e di ottenere delle certificazioni riconosciute a livello internazionale. Tale esperienza di formazione ha avuto un impatto trasformativo sulla vita delle donne coinvolte che, attraverso il programma, hanno appreso non solo le competenze tecniche necessarie per la carpenteria, ma anche l’importanza del loro ruolo nella progettazione e nella costruzione di abitazioni sicure. Il progetto ha così portato alla realizzazione di 20 piccole case climate-friendly e resistenti ai disastri, insieme ad un reale cambiamento nella vita delle donne della comunità figiana coinvolte.

Questa storia è l’unica che viene raccontata dall’ADB come un successo sostenendo che questo programma abbia anche alimentato il senso di empowerment e di partecipazione attiva delle partecipanti, ma anche della collettività. Le donne formate da questo progetto hanno condiviso le loro esperienze e competenze con la loro comunità di riferimento, e hanno contribuito alla costruzione materiale del futuro, svolgendo un ruolo vitale nella risposta e nella ricostruzione in seguito ai disastri.

Queste donne e altre di diverse comunità coinvolte hanno così anche dimostrato il loro valore come agenti di cambiamento nelle loro società.

Il progetto può considerarsi un’iniziativa virtuosa che sistematizza e propone soluzioni locali a crisi climatica e alle disuguaglianze strutturali che colpiscono il genere femminile. Sovrapponendo le vulnerabilità prodotte da crisi climatica e genere possiamo capire come le donne soffrano in modo asimmetrico del contesto multi-crisi che ci troviamo ad affrontare e come l’attivazione di politiche strutturali e materialmente consolidate potrebbe restituire la speranze e la voglia di lottare per indipendenza e emancipazione. Mentre i settori green stanno offrendo nuove opportunità, queste si configurano all’interno del medesimo modello patriarcale e neoliberale e senza il sostegno ad iniziative locali e dal basso sarà complesso ridurre i tempi di raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità a livello sia europeo che globale. 

Leggi anche: Il programma ONU per un’agricoltura resiliente al clima promuovendo l’uguaglianza di genere

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