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Il tribunale civile di Palermo libera un’altra coppia da un debito di circa 30 mila euro, che sarebbe stato tra quelli acquistati in blocco da una banca, senza che però sia stato effettivamente provato questo passaggio da un istituto all’altro. Per questo il giudice della terza sezione monocratica, Giorgia Lenzi, ha revocato il decreto ingiuntivo emesso a favore dell’istituto di credito, la Cherry Bank Spa, il 29 dicembre del 2020 e lo ha pure condannato a pagare circa 4 mila euro di spese. La sentenza è perfettamente in linea con un’altra di qualche settimana fa, di cui aveva dato notizia PalermoToday, e con la quale un’altra coppia era stata sollevata da un debito di circa 70 mila euro in quel caso con una società di recupero crediti, la Ifis Npl Investing Spa.

Il giudice cancella un debito di 70 mila euro a una coppia: “Società di recupero crediti non legittimata”

Il giudice ha accolto le tesi degli avvocati Andrea Villino e Salvatore Forello, che si erano opposti alla richiesta di pagamento di 27.413,06 euro (oltre interessi e spese) ai loro clienti da parte della Cherry Bank. Il credito vantato dalla banca avrebbe avuto origine da un finanziamento chiesto dalla coppia alla Credem Banca che poi lo avrebbe ceduto insieme ad altri in sofferenza all’altro istituto. Per la difesa, però, la Cherry Bank non avrebbe avuto alcun titolo per chiedere quei soldi, anche perché non avrebbe provato l’esistenza stessa del credito, non avendo prodotto estratti conto.

“All’esame degli atti – scrive il giudice nel suo provvedimento – è emerso che non vi è prova della cessione dell’asserito credito oggetto di causa tra la Credem Banca e la Cherry Bank”. Secondo la difesa di quest’ultima “il credito in esame sarebbe tra quelli ceduti in blocco con il contratto relativo alla cessione dei crediti in sofferenza della Credem. Si rileva, però, che il contratto di cessione di credito, così come l’estratto, non contengono – si legge ancora nella sentenza – l’identificazione che il credito azionato sia tra quelli oggetto di cessione” e “non può conferirsi efficacia di prova ai documenti prodotti” dalla Cherry Bank “in quanto mero file informatico separato da ogni contratto, di provenienza del tutto incerta e carente finanche di firme delle parti contrattuali”.

Ma c’è di più ad avviso del giudice: “Non può assumere valore probatorio della avvenuta cessione del credito contestato la mera comunicazione” alla coppia “della cessione dello stesso, dal momento che si tratterebbe di una dichiarazione unicamente di parte non idonea a dimostrare l’esistenza né del rapporto contrattuale né della titolarità del credito vantato”.

Nel provvedimento vengono poi citate una serie di sentenze della Cassazione proprio su questo tema: “La parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare della parte creditrice originaria, in virtù di una operazione di cessione in blocco, ha l’onere di dimostrare l’inclusione del credito oggetto di causa nell’operazione di cessione in blocco, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, a meno che il resistente non l’abbia esplicitamente riconosciuta” e si rammenta che “per conforme giurisprudenza la pubblicazione in Gazzetta ufficiale dell’operazione di cessione dei crediti – pur versata in atti – non è idonea a provare la cessione del singolo credito asserito vantato in giudizio dalla cessionaria”. Per questo – esattamente come era accaduto per l’altra coppia – è stato revocato il decreto ingiuntivo e la Cherry Bank è stata pure condannata a pagare circa 4 mila euro di spese.

 

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